Dalla Corte costituzionale è venuta una pronuncia che fissa alcuni punti fermi sul chi – Stato o Regioni – ha il potere di stabilire le sanzioni amministrative per colui che viola il divieto di fumo in determinati locali e per la mancata esposizione, da parte di coloro cui compete, del relativo avviso.

Allo Stato, ha sentenziato la Corte, non spetta solo fissare i principi fondamentali cui le Regioni si debbono attenere quando esercitano la competenza legislativa concorrente: spetta anche la determinazione delle sanzioni amministrative concretamente applicabili per le singole violazioni.

Con la sentenza n. 361, depositata oggi in cancelleria, i giudici della Consulta hanno così dichiarato infondati i dubbi di incostituzionalità sollevati dalla Regione Toscana sulla legge finanziaria 2002 laddove ha modificato, inasprendole, le sanzioni pecuniarie già stabilite dalla legge 584 del 1975 per chi viola il divieto di fumo e per la mancata esposizione degli avvisi riportanti il divieto medesimo. La ricorrente aveva sostenuto che allo Stato non spetta dettare norme sanzionatorie di dettaglio, ma solo fissare i principi fondamentali. “Con la legge n. 584 del 1975 e poi con la legge n. 3 del 2003 – ha fatto osservare la Corte costituzionale – sono state previste varie fattispecie di illecito amministrativo al fine della tutela della salute, che l’art. 32 della Costituzione assegna alle cure della Repubblica. Tali previsioni devono essere assunte come principi fondamentali, necessariamente uniformi, a norma del terzo comma dell’art. 117 della Costituzione, stante la loro finalità di protezione di un bene, quale la salute della persona, ugualmente pregiudicato dall’esposizione al fumo passivo su tutto il territorio della Repubblica: bene che per sua natura non si presterebbe a essere protetto diversamente alla stregua di valutazioni differenziate, rimesse alla discerzionalità dei legislatori regionali”.

“La natura di principi fondamentali delle norme in questione – hanno proseguito i giudici costituzionali – si comprende non appena si consideri l’impossibilità di concepire ragioni per le quali, una volta assunta la nocività per la salute dell’esposizione al fumo passivo, la rilevanza come illecito dell’attività del fumatore attivo possa variare da un luogo a un altro del territorio nazionale”. “Non potendosi dunque contestare al legislatore statale, in quato particolare campo di disciplina, il potere di prevedere le fattispecie da sanzionare – ha concluso la Corte – non può essergli disconosciuto nemmeno quello di determinare le sanzioni per il caso di violazione dei divieti e degli obblighi stabiliti”.