Torna a Monte Santa Giulia, proprio nel luogo del ritrovamento, la spada in bronzo di oltre tremila anni fa che rappresenta uno dei pezzi di maggior pregio della mostra “Uomini e dèi delle montagne”.

Dedicata agli insediamenti e ai culti nell’Appennino modenese fra II e I millennio prima di Cristo, la mostra sarà inaugurata sabato 15 luglio, alle 17, al Parco della Resistenza di Monte Santa Giulia di Monchio di Palagano dopo essere stata allestita tra aprile e giugno al Museo civico archeologico etnologico di Modena, che l’ha organizzata insieme alla Provincia di Modena e alla Soprintendenza per i beni archeologici dell’Emilia-Romagna e con la collaborazione del Dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
Insieme alla mostra è stato realizzato anche il secondo volume dell’ “Atlante dei beni archeologici” che, a cura di Andrea Cardarelli e Luigi Malnati (l’ideazione è della Provincia), raccoglie 370 attestazioni archeologiche riguardanti 18 Comuni dell’alta collina e della montagna modenese.

Proprio questa, infatti, è l’area alla quale è dedicata l’esposizione che accompagna i visitatori in un viaggio nell’antichità: dai resti delle “palafitte perdute” che agli albori dell’età del bronzo, attorno al 2000 a.C., probabilmente occupavano i laghi attorno a Pavullo, fino ai reperti degli abitati costruiti sulle rupi isolate, come Pescale o Pompeano, e quelli edificati, pochi secoli più tardi, sulle sommità montane. Da qui si poteva controllare il territorio presidiando le risorse economiche che, come nel caso della valle del Dragone interessata dalla presenza di giacimenti di rame, dovevano essere strategiche per la sopravvivenza delle comunità. Le testimonianze sono particolarmente numerose e confermate soprattutto da abbondanti resti di vasellame.

Già in questo periodo e nella successiva età del Ferro numerose testimonianze indicano la presenza di luoghi nei quali venivano dedicate offerte votive alle divinità. La spada in bronzo di Santa Giulia, dove scavi recenti hanno potuto accertare anche l’esistenza di una fossa votiva e di un rogo rituale, così come quella spezzata intenzionalmente, per annullarne la funzione originaria, proveniente dalla vetta del Cimone, sono solo due degli esempi più suggestivi.