La lunga vita di Marianna Ucrìa, il romanzo che ha reso famosa al grande pubblico Dacia Maraini, prende vita grazie alla regia di Lamberto Puggelli. Ospite al Teatro Storchi dal 30 novembre al 3 dicembre (feriali ore 21, festivo ore 15:30) l’allestimento del Teatro Stabile di Catania ritorna agli antichi splendori a più di dieci anni di distanza per dare alla possibilità a pubblici diversi e rinnovati di farsi ascoltare e guardare.

A firmare la messinscena sono ancora Lamberto Puggelli per la regia e un cast di più di venti attori tra cui Mariella Lo Giudice e Luciano Virgilio.
L’allestimento del 1991 è riproposto fedelmente e resiste nel tempo anche grazie a un testo teatrale che rispetto al romanzo fa sdoppiare la propria protagonista, Marianna, ora giovane che osserva se stessa invecchiata e ora anziana che rivolge lo sguardo sbalordito a una se stessa infantile e persa. Questo gioco di prospettiva lascia intravedere qualcosa dello stile metaforico del romanzo, permettendo di riferire il pensiero della protagonista che, sordomuta, necessitava di un lavoro drammaturgico attento. L’espediente dell’io narrante si rivela fondamentale nel lungo e complesso passaggio dal romano alla scena, curato dalla Maraini stessa, da tempo appassionata anche alla scrittura teatrale.

Alla fine degli anni 60 infatti, la sua passione per il teatro la porta, insieme ad altri scrittori, a fondare il Teatro del Porcospino all’interno del quale si rappresentano solamente novità italiane: Gadda, Moravia, Siciliano e Tornabuoni per citarne alcuni.

Non si tratta di una riduzione né di una sceneggiatura ma di un dramma che ricorda la bellezza di questa saga familiare ambientata nella Palermo del Settecento, in quelle case nobiliari che celano sotto la ridondanza figurativa il tarlo della decadenza. La pièce segue peraltro fedelmente il romanzo incentrato sul personaggio della duchessa Marianna Ucrìa, resa muta dalla violenza sessuale subita a sei anni e tuttavia capace di contrastare la propria menomazione fino a diventare la donna più colta della società palermitana.
Una vicenda al femminile che inneggia all’intelligenza di una personalità vincente, in un secolo in cui essere sordomuta equivaleva a un’interdizione a tutti gli effetti.