“Vogliamo comunicare il disagio per la condizione generale in cui vivono i pensionati, ma anche la delusione nei confronti degli amministratori locali che molti di noi hanno contribuito a eleggere”.
A esprimersi con queste parole sono i sindacati dei pensionati Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil del distretto di Sassuolo in una lettera aperta inviata ai sindaci, assessori e consiglieri comunali del comprensorio.


Una lettera aperta che tocca molti temi, dalla perdita del potere d’acquisto delle pensioni alla Finanziaria, dall’aumento delle addizionali Irpef al ruolo dei pensionati nella società.
“L’Istat, non il sindacato, afferma che la povertà relativa è quantificata in 870 euro mensili pro capite e il rischio di povertà in 1043 euro.

In Emilia-Romagna – ricordano i sindacati – il 71,1 per cento delle pensioni è inferiore ai 750 euro.
Negli ultimi dieci anni il livello medio del potere d’acquisto delle pensioni è diminuito di un terzo a causa del mancato aggancio alla dinamica salariale, dell’aumento incontrollato di prezzi e tariffe, del solo parziale recupero operato dalla perequazione automatica che, come sappiamo, si basa sull’inflazione programmata e non su quella reale”.

Quanto alla Finanziaria, i pensionati sassolesi speravano che il nuovo governo avrebbe affrontato i problemi dei non autosufficienti, degli incapienti, della no tax area.
“Invece, nulla. Anzi – aggiungono Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil – anche gli enti locali hanno pensato bene di aumentare l’addizionale Irpef regionale e comunale, vanificando in tal modo quella piccola boccata d’ossigeno rappresentata dalla rimodulazione delle aliquote Irpef. È amaro constatare che i nostri amministratori pubblici non abbiano cercato di analizzare le priorità, di eliminare sprechi e doppioni. Capiamo che la politica ha dei costi, ma non può essere che questa sia determinata innanzitutto dagli interessi di partito, senza affrontare i bisogni, a volte drammatici, dei cittadini più deboli”.

Esiste poi un altro aspetto che preoccupa le organizzazioni sindacali, e cioè la collocazione del pensionato all’interno della società.
“Non ci interessano le “feste dei nonni” che forse servono a far vendere qualche oggetto in più ai commercianti, quanto il riconoscimento di una cittadinanza ancora attiva all’interno della società, e non solo perché versiamo allo Stato il 30 per cento della tassazione generale, ma perché siamo i supplenti di servizi ancora carenti. Assistiamo i nostri famigliari e, quando il nostro reddito ce lo consente, finanziamo quei figli o nipoti studenti, magari laureati o diplomati, che a trent’anni ancora cercano un’occupazione o trovano solo lavori precari”.

I sindacati dei pensionati del distretto ritengono che questi problemi abbiano bisogno di essere attentamente valutati dalle Amministrazioni locali e si dichiarano disponibili a ricercare insieme eventuali soluzioni sul modello degli accordi stipulati per le cosiddette azioni positive. Pertanto chiedono di incontrare i sindaci alla presenza di Cgil-Cisl-Uil.