Leggere le stelle per capire la terra. Margherita Hack e Ginevra Di Marco con “L’anima della terrà”, uno spettacolo di parole e musica, il prossimo 21 novembre (ore 21) all’Altro Teatro di Cadelbosco Sopra porteranno in scena un viaggio che indaga il rapporto tra noi e l’universo che ci accoglie. Si tratta dell’incontro di due “stelle” nate in Toscana e dell’occasione per indagare su alcune tematiche sociali scottanti come l’immigrazione e l’emigrazione, delle energie nuove e alternative. Ma anche di globalizzazione, lavoro e corruzione.

Ginevra Di Marco interpreterà alcune tra le melodie tradizionali più belle su questi temi: brani densi di significati, valori e storia mentre l’astronoma Margherita Hack alternerà alle canzoni i suoi testi di approfondimento, puntualizzando ed espandendo i concetti con la forza della sua immensa esperienza ed il suo carisma.

Nello spettacolo grande spazio lo avrà la musica. Sara musica etnica, tradizionale e cantautorato di qualità da tutto il mondo, un viaggio verso tutti i continenti, con canti dalla Bretagna, Cuba, Macedonia, Albania, Italia del Sud e Toscana.

La formazione che salirà sul palco dell’Altro Teatro, accanto Margherita Hack (voce) e Ginevra Di Marco (voce cantante), è composta da Francesco Magnelli (piano e magnellophoni) già membro di Litfita, Cccp e Csi, Andrea Salvadori (chitarra e tzouras) e Luca Ragazzo (batteria)

Ginevra Di Marco. Ginevra Di Marco appare nel 1993. E’ una voce defilata, quasi impercettibile in un disco a suo modo epocale, quel Ko De Mondo che avvia nel migliore dei modi l’avventura C.S.I. (Consorzio Suonatori Indipendenti).

Quanto la sua presenza sia fin da subito importante e non solo dal punto di vista musicale lo decreta il successivo In Quiete, testimonianza live che vede la Di Marco assurgere prepotentemente al ruolo di comprimaria. A questo punto è già molto più che una voce: il timbro dolce e carnale, la chiarezza dello stile, una passione senza risparmio, tutto in lei sembra accadere come un ideale contrappunto alle asperità della band. E’ la nota mancante, quella che alleggerisce e assolve, il calore e il colore di cui il nuovo corso del sodalizio Ferretti-Zamboni con Magnelli, Canali e Maroccolo aveva bisogno per sbocciare definitivo.

Da allora, tanto su disco che sul palco, Ginevra agirà in prima linea, appena un passo indietro rispetto a Giovanni Lindo Ferretti di cui è ombra luminosa, altro inseparabile, respiro segreto. Le composizioni iniziano a strutturarsi anche attorno a lei, proprio come il materiale pregresso che trova attraverso la sua voce nuovi sbocchi espressivi: una grazia pietosa, in virtù di una memoria sempre viva. Ginevra accoglie e assume su di sè il gravoso pathos ferrettiano per restituirlo intenerito, caldo, umano. Ne indaga l’aspetto terreno, ne rivela la trepida spiritualità: Linea Gotica (1996), Tabula Rasa Elettrificata (1997) e La terra, la guerra, una questione privata (1998) sono i capitoli di una band all’apice.

Intanto nasce e si consolida l’intesa tra Ginevra e Francesco Magnelli, mente compositiva della band, tastierista e pianista estroso, sempre in cerca di aperture e di nuove modalità espressive.

Il sodalizio frutterà dapprima una curiosa escursione ‘cinematografica’ (la sonorizzazione del film muto Il Fantasma dell’Opera) e quindi, finalmente, Trama Tenue (1999), il debutto in solitario di Ginevra, un disco che è planare spirito e precipitare carne come fosse il più naturale dei gesti. Al plauso della critica corrisponderanno il Premio Ciampi e il Premio Tenco come miglior artista esordiente.

Risale a questo periodo l’intensificarsi della collaborazione con Max Gazzè, conosciuto in occasione del progetto-tributo al grande musicista inglese Robert Wyatt. Oltre a vedersi reciprocamente partecipi in Max Gazzè e Trama Tenue, Max e Ginevra suonano spesso insieme, si conoscono meglio e scoprono che i loro mondi, apparentemente così lontani, in realtà hanno molto in comune.

Nello stesso periodo esce, su etichetta Il Manifesto, il primo disco dal vivo di Ginevra dal titolo Concerto n. 1 – Smodato Temperante (2001), testimonianza del tour semiacustico dell’anno precedente. Le circostanze live spingono a scavare dentro le melodie e i suoni, cercandone i riverberi più nudi e segreti, indagando lo spazio e l’energia che cova tra l’avvenire elettrico ed acustico, l’intima coesione tra voce e strumento. Ginevra si gioca la carta della voce sul tavolo della canzone, con disarmante semplicità, senza alcun compiacimento. Lascia che la canzone vinca la posta, in modo che anche canzoni non sue come Korakanè (di De Andrè) o Ederlezi (tradizionale rielaborato da Bregovic) sembrano letteralmente nascerle dentro.

Il 29 giugno del 2001 gli ex CSI, escluso il dimissionario Massimo Zamboni, si ritrovano insieme sul palco di Montesole, sul crinale dell’appennnino che vide l’eccidio di Marzabotto, per un concerto dedicato alla memoria di Don Dossetti. Quel giorno, quella magica sera è documentata in Montesole (2003) – nascono in pratica i PGR (acronimo di Per Grazia Ricevuta). Il debutto della nuova entità avviene nel 2002 con l’omonimo album su etichetta Universal. L’organico dei PGR ricalca quello dei CSI tranne, naturalmente, Zamboni, ma le sonorità si spostano con decisione verso l’elettronica, previa l’arte esotica e raffinata del produttore francese Hector Zazou.

Ginevra è ormai a tutti gli effetti uno dei motori del gruppo, compone le melodie cui presta una voce sempre più duttile, ulteriormente arricchita dalle calde sfumature acquisite dall’essere diventata mamma. Ancora incinta di Jacopo, accetta di accompagnare Max Gazzè in un tour nei teatri che li vede impegnati da gennaio a marzo del 2002. Successivamente si imbarca nell’avventura dello spettacolo teatrale Iris (ispirato ad un racconto dello spagnolo Manuel Rivas). Esperienze che le permettono di entrare in contatto con artisti, generi e forme di diversissima estrazione, realtà a cui sembra adattarsi con splendida naturalezza.

Nel 2004, assieme a Magnelli, lascia i PGR per seguire altre direzioni. Si arriva così a Disincanto (2005), frutto dolciastro dal cuore amaro, undici episodi di grande versatilità. La coerenza del percorso di Ginevra rimane intatta, non si disperde e continua a spianare la sua narrativa luminosa e appassionata, impreziosendola di ombre e sfumature, di scatti e giustapposizioni. Raccoglie cioè il frutto di tutte quelle esperienze che le hanno insegnato il mestiere dell’essenzialità e della floridezza, l’imprevedibile complessità dei margini, il peso specifico delle sfumature, la complessità dello stare al mondo, su questo mondo, in questo tempo.

Nei due anni successivi Ginevra si dedica quasi esclusivamente alla grande esperienza musicale e di vita intrapresa con Stazioni Lunari. La natura itinerante del progetto, ideato da Francesco Magnelli, le permette di allargare ulteriormente gli orizzonti. Conosce nuova musica e nuovi musicisti, impara a comprendere ed a interagire con altre situazioni trovando finalmente quel terreno fertile (da sempre desiderato) in cui la musica è l’unica vera protagonista. Inizia il suo nuovo grande viaggio: quello che passa per la tradizione e i canti popolari. Arriva così a registrare Stazioni Lunari prende terra a Puerto Libre, uscito nel 2006. Canti dal margine della Storia, da un mondo profondo e dimenticato: Romania, Ungheria, Grecia, i Balcani, gli Slavi, i Rom, il Portogallo, la Bretagna, il Messico, il Cile, gli italiani del Sud e quelli di Toscana. Arrangiamenti e rivisitazioni volti a coinvolgere il pubblico con il calore ed il sapore delle feste di paese, delle danze, della musica cantata dalla gente. Da sempre.

Nello stesso solco si inserisce Donna Ginevra (2009), ancora un viaggio nel profondo delle tradizioni e dei margini, recuperando brani come frammenti di Storia più o meno sommersa e dimenticata. Passando da Napoli a Cuba, dalla Bretagna al Lazio, dalla Toscana al Cilento e ai Balcani, la voce di Ginevra si conferma interprete a tutto tondo sposando con trasporto e generosità il vitalismo delle proteste popolari, le doglianze e le meditazioni sulla difficile arte di stare al mondo, i volti diversi e complementari dell’amore. Da sottolineare infine l’inclusione in scaletta di due pezzi firmati Tenco e Pino Daniele, quasi si intendesse additare quel legame tra canzone d’autore e vita ad altezza d’uomo un tempo saldissimo e oggi parecchio più labile, o se preferite astratto.

La produzione artistica del “solito” Francesco Magnelli determina arrangiamenti ingegnosi ma essenziali, rispettosi ma senza timore reverenziale, suggerendo una progressione che sa di ritorno a casa, a quel retroterra vivo, radicato tra cuore e memoria, che da sempre distingue la cifra espressiva di Ginevra.

Margherita Hack (Firenze, 12 giugno1922). E’ una delle menti più brillanti della comunità scientifica italiana e ha vissuto lavorando in grande stile alla scienza astrofisica. Prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia, ha svolto un’importante attività di divulgazione e ha dato un valido contributo alla ricerca per lo studio e la classificazione spettrale di molte categorie di stelle. Il padre, di religione protestante, lavorava come contabile e la madre, cattolica, diplomata all’Accademia di belle arti, era miniaturista alla Galleria d’arte degli Uffizi. Entrambi insoddisfatti delle loro religioni e chiese, aderirono alle dottrine teosofiche, intrecciando rapporti con un ambiente che sarebbe stato loro di sostegno nei momenti più difficili. Non simpatizzarono per il regime fascista e per questo subirono molte discriminazioni. Vegetariani convinti, trasmisero questa cultura alla figlia, che non ha mai mangiato carne e ha coltivato fin da piccola grandi amicizie a “quattro zampe”. A undici anni Margherita conobbe tra i compagni di giochi Aldo, un ragazzo di due anni maggiore, che sarebbe diventato suo marito. Frequentò il liceo classico e iniziò a giocare a pallacanestro e a fare atletica, ottenendo ottimi risultati a livello nazionale nel salto in alto. Ritrovò Aldo dieci anni dopo, nel 1943, all’Università di Firenze, dove frequentavano rispettivamente la Facoltà di Fisica e quella di Lettere. Si sposarono l’anno successivo e sono ancora uniti. A guerra finita, nel 1945, fu possibile laurearsi con una tesi di astrofisica relativa a una ricerca sulle cefeidi, una classe di stelle variabili. Il lavoro fu condotto presso l’Osservatorio astronomico di Arcetri, dove la Hack iniziò a occuparsi di spettroscopia stellare, che sarebbe diventato il suo principale campo di ricerca.

Iniziò un periodo di precariato come assistente presso lo stesso Osservatorio e come insegnante presso l’Istituto di Ottica dell’Università di Firenze. Il primo impiego le venne offerto nel 1947 dalla Ducati, un’industria di Milano che iniziava a occuparsi di ottica. Margherita lo accettò e si trasferì col marito, ma l’anno successivo preferì tornare all’ambiente universitario fiorentino. Dal 1948 al 1951, insegnò astronomia come assistente e nel 1950 entrò in ruolo. Nel 1954 ottenne la libera docenza e, sotto la spinta del marito, iniziò la sua attività di divulgatrice scientifica, collaborando con un quotidiano. Chiese e ottenne il trasferimento all’Osservatorio di Merate, presso Lecco, una succursale dello storico Osservatorio di Brera. Nello stesso periodo, teneva corsi di astrofisica e di radioastronomia presso l’Istituto di Fisica dell’Università di Milano e iniziò le sue numerose collaborazioni con università straniere in qualità di “ricercatore in visita”. Accompagnata dal marito, che la seguiva in ogni spostamento, collaborò con l’Università di Berkeley (California), l’Institute for Advanced Study di Princeton (New Jersey), l’Institut d’Astrophysique di Parigi (Francia), gli Osservatori di Utrecht e Groningen (Olanda), l’Università di Città del Messico; è stata anche “docente in visita” presso l’Università di Ankara (Turchia).

Nel 1964 divenne professore ordinario, ottenendo la cattedra di astronomia presso l’Istituto di Fisica teorica dell’Università di Trieste e come tale ebbe l’incarico della direzione dell’Osservatorio astronomico. La sua gestione, durata fino al 1987, rivitalizzò un’istituzione che era l’ultima in Italia sia per numero di dipendenti e di ricercatori che per strumentazione scientifica, portandola a rinomanza internazionale. L’enorme sviluppo delle attività didattiche e di ricerca, che Margherita Hack aveva promosso in università, pose il problema di creare un Istituto di Astronomia. Fu istituito nel 1980 e sostituito nel 1985 da un Dipartimento di Astronomia, che la scienziata diresse fino al 1990. Dalla sua nascita, nel 1982, la studiosa ha curato una stretta collaborazione anche con la sezione astrofisica della Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa).

La carriera scientifica di Margherita Hack si è intrecciata a quella degli astronomi più importanti dell’ultimo secolo. Le sue ricerche hanno toccato diversi settori: ha studiato le atmosfere delle stelle e gli effetti osservabili dell’evoluzione stellare e ha dato un importante contributo alla ricerca per lo studio e la classificazione spettrale delle stelle da 0 a F. I suoi lavori più importanti vertono sulle stelle in rapida rotazione, chiamate stelle a emissione B, che emettono grandi quantità di materiale e a volte formano anelli o inviluppi stellari, e sulle stelle a inviluppo esteso. Ha contribuito in particolare allo studio delle stelle di tipo Be, caratterizzate da uno spettro continuo solcato di righe scure. Le sue recenti ricerche includono la spettroscopia, nel visibile e nell’ultravioletto, dei sistemi a stelle binarie, nei quali le due componenti sono così vicine da interagire, e delle stelle simbiotiche. Ha alternato la stesura di testi scientifici – sull’astronomia generale e la spettroscopia stellare – a carattere universitario, alla scrittura di testi a carattere divulgativo. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Le nebulose e gli universi-isole(1959), La radíoastronomia alla scoperta di un nuovo aspetto dell’Universo (1960), L’universo. Pianeti, stelle e galassie (1963), Esplorazioni radíoastronomíche (1964), L’universo violento della radioastronomia (1983), Corso di astronomia (1984), L’universo alle soglie del Duemila (1992), La galassia e le sue popolazioni (1992), Alla scoperta dei sistema solare (1993), Cosmogonie contemporanee (1994), Una vita tra le stelle (1995), L’amica delle stelle (1998). Il trattato Stellar Spettroscopy, scritto a Berkeley, nel 1959, con Otto Struve (1897-1963) è considerato ancora un testo fondamentale.

Straordinaria divulgatrice, ha collaborato a numerosi giornali, a periodici specializzati e ha fondato nel 1978 la rivista “L’Astronomia” che dirige tuttora. Nel 1980 ha ricevuto il premio Accademia dei Lincei e nel 1987 il premio Cultura della Presidenza dei Consiglio. E’ membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Unione Internazionale Astronomi e della Royal Astronomical Society. Nel 1992 la scienziata è andata fuori ruolo per anzianità e ha continuato l’attività di ricerca senza l’impegno dell’insegnamento. Nel 1993 è stata eletta consigliera comunale a Trieste. Dal 1997 è in pensione, ma dirige ancora il Centro Interuniversitario Regionale per l’Astrofisica e la Cosmologia (CIRAC) di Trieste e si dedica a incontri e conferenze al fine di “diffondere la conoscenza dell’Astronomia e una mentalità scientifica e razionale”.