Fibule, pettini, collane, raffinati manufatti in vetro o in bronzo fuso, gioielli di rara fattura ma soprattutto armi, di tutti i tipi: spade a doppio taglio, coltelli, cuspidi di lancia, punte di freccia, umboni di scudi. E poi decine di fibbie, perché il mondo di un Longobardo stava appeso alla cintura.

Sono alcuni dei reperti che compongono il corpo della mostra “Il tesoro di Spilamberto. Signori Longobardi alla frontiera”, che inaugurerà l’11 dicembre e resterà aperta fino al 25 aprile 2011 nello Spazio Eventi “L. Famigli” di Spilamberto (Modena). L’esposizione è organizzata da Comune di Spilamberto e Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia.

La necropoli di Spilamberto. La piccola necropoli scoperta nel 2003 alle porte di Spilamberto non racconta solo la storia degli uomini e donne vissuti qui circa 1500 anni fa. Portando alla luce alcuni aspetti della loro vita privata, restituisce loro carne, sangue e sentimenti. Nulla intacca i resoconti delle loro celebri virtù guerriere. Ma dalle 34 sepolture in semplice fossa rinvenute a Ponte del Rio (di cui un terzo femminili) emerge un’epoca solo in parte lontana che torna a vivere nella forma di un sedile in tutto simile a quelli che usiamo ancora oggi o nell’eleganza di un cammeo che, creato per una matrona romana, si trasforma prima in raffinato gioiello per qualche nobile vissuta in epoca bizantina e infine in prezioso monile per una giovane “principessa” longobarda.

La necropoli longobarda di Spilamberto non è solo ciò che resta di un gruppo di guerrieri con le loro famiglie, forse un clan gentilizio (fara), insediatosi qui per occupare e controllare un territorio di confine. È soprattutto la testimonianza della più antica presenza stabile di immigrati longobardi nel Modenese. Un ritrovamento quindi che, per varietà di reperti e alta cronologia, fa di Spilamberto un luogo nodale per la storia dell’Emilia-Romagna nell’altomedioevo.

L’esposizione. La mostra espone quattro tra le sepolture più significative rinvenute nella vasta area di Cava di Ponte del Rio, nei pressi del fiume Panaro. I corredi sono presentati in una piattaforma centrale, insieme a uno dei tre cavalli sacrificati con i padroni defunti; ampie nicchie di contorno trattano i temi dell’abbigliamento, degli ornamenti, della cura della persona, delle armi e del vasellame da tavola. Tra i reperti, illustrati da un ampio apparato reso più suggestivo dalla grafica ricostruttiva, spiccano i filamenti in oro di un tessuto di broccato che probabilmente velava il volto di una giovane defunta, un raffinato corno potorio in vetro e un’eccezionale sedia pieghevole in ferro (sella plicatilis) decorata con agemina in ottone a motivi geometrici e vegetali.

I Longobardi. Ma chi erano i Longobardi? Invasori selvaggi che rasero al suolo quanto restava della civiltà classica, oppure popolo di emigranti già ampiamente romanizzato che avrebbe potuto trasformare l’Italia in una Nazione, come i Franchi stavano facendo al di là delle Alpi? Il dibattito su questo popolo guerriero sceso dalla Pannonia e padrone della Penisola per più di due secoli è ancora aperto.

Una cosa è certa. Quando i Longobardi arrivano al seguito di re Alboino, nel 568, le città hanno perso da tempo lo splendore dell’età imperiale: le strade sono disselciate, i commerci languono e le condizioni di vita sono fortemente deteriorate, soprattutto nelle regioni del nord.

Nelle città i nobili guerrieri occupano le dimore signorili e i palazzi superstiti mentre il resto della popolazione ricava modeste case nelle antiche domus romane. Nelle campagne, come a Spilamberto, piccole comunità si insediano nelle fattorie di età romana o in nuovi villaggi di capanne e terra fin dalla prima fase migratoria. Il confine tra regno longobardo ed Esarcato bizantino è a pochi chilometri; in attesa di chiarire i rapporti di forza con gli scomodi vicini è qui che serve un avamposto militare presidiato dagli uomini migliori.

I reperti. La necropoli longobarda di Ponte del Rio getta nuova luce sulle vicende ancora poco note di un periodo cruciale per la formazione dell’identità regionale. Scavata nel 2003 sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna (finanziamento Era 2000), ha restituito 34 tombe a inumazione, a semplice fossa rettangolare, in pochi casi dotate di casse in legno, forse a indicare un più elevato status sociale del defunto. Tutte le sepolture sono orientate est-ovest (con cranio ad ovest), come di regola nei cimiteri di questo periodo, e paiono distinte in piccoli gruppi, forse familiari. Uomini e donne sono deposti supini, molti con il proprio abito quotidiano di cui restano quasi esclusivamente le parti metalliche; nella tomba sono spesso lasciati doni funebri di diverso tipo.

I guerrieri sono sepolti con le armi individuali che connotavano il rango dell’uomo libero quando la popolazione longobarda era ancora stanziata nelle aree pannoniche (Ungheria) prima della migrazione in Italia nel 568-569. Sono state rinvenute spathe (spade con larga lama a doppio taglio), coltelli, fibbie da cintura in bronzo, cuspidi di lancia, punte di freccia e la parte centrale e sporgente in ferro degli scudi (umbone).

Anche le ceramiche, trovate sia nelle deposizioni maschili che in quelle femminili, fanno riferimento alla tradizione longobarda extra-italica. Si tratta in genere di bicchieri e bottiglie realizzati al tornio lento e decorati con la tecnica «a stralucido» e «a stampiglia» con motivi geometrici semplici o compositi.

Di grande importanza l’analisi degli accessori pertinenti all’abbigliamento rinvenuti nei corredi funerari: mai, come parlando di questo popolo, possiamo dire che l’abito fa il Longobardo.

Risale al tradizionale costume femminile tipico della prima fase di immigrazione, una fibula (spilla) a «S», composta da due figure zoomorfe stilizzate e contrapposte, che chiudeva probabilmente il mantello indossato sopra la tunica. Le fibbie appartengono invece a cinture di cuoio, portate da entrambi i sessi, a cui venivano fissate strisce di cuoio di varia lunghezza cui erano appesi coltellini, dischi, perle in vetro ed anche perle semipreziose interpretabili come amuleti. Fibbie di dimensioni più piccole servivano probabilmente a chiudere borsette in cuoio (anch’esse appese alla cintura) che contenevano oggetti di uso quotidiano per la toilette personale, per cucire o accendere il fuoco. Tra i manufatti d’uso quotidiano figurano anche acciarini e pettini in osso a dentatura semplice e doppia. I pettini -in altri casi deposti nelle sepolture per il loro valore apotropaico, a protezione del defunto dagli spiriti maligni- compaiono a Spilamberto solo in sepolture femminili e potrebbero quindi essere stati inseriti come oggetti personali piuttosto che per il loro significato magico.

Le numerose collane e braccialetti rinvenuti sono composti da perle multicolori in pasta vitrea, ambra, ametista e pietre dure, con inserzione di elementi in oro negli esemplari più ricchi.

Le variazioni della moda avvenute per i contatti con il mondo romano-bizantino determinarono la sostituzione delle fibule a «S» con una sola fibula a disco. In una delle tombe femminili più ricche è stato trovato un esemplare eccezionale costituito da un cammeo romano montato in argento dorato e circondato da perle di fiume, paste vitree e motivi a filigrana.

In generale, pare che le donne di questa comunità abbiano abbandonato abbastanza presto i costumi funerari di stampo etnico più antichi, per accogliere in tempi brevi le usanze locali

Un velo d’oro. Anche se nella necropoli di Spilamberto le tombe davvero ricche sono poche, esse contengono oggetti personali e complementi di corredo di altissimo livello qualitativo.

La sepoltura di una fanciulla certamente di alto lignaggio ha restituito i resti di un velo intessuto di sottili striscioline d’oro. Il broccato aureo è sicuro indizio di dovizia e status sociale elevato: basti pensare che era la legge a stabilire chi fosse autorizzato a indossarlo. L’alto rango della defunta è confermato dalla presenza di una sella plicatilis in ferro (sgabello pieghevole) decorata ad agemina in ottone, con motivi geometrici e vegetali; un oggetto di grande lusso e tecnologicamente sofisticato, di cui si conoscono per il periodo ben pochi esempi in tutta Europa.

Altri raffinati manufatti in vetro (corni potori, bicchieri, coppe e bottiglie) ed in bronzo fuso di produzione italica e mediterranea (una brocca, una padella, una lucerna guarnita di catena di sospensione e bossolo bruciaprofumi in argento) compongono corredi sontuosi e lasciano pensare che tali oggetti fossero stati prescelti non tanto per il loro valore intrinseco quanto per il significato simbolico che rivestivano.

Il corno potorio è retaggio di una tradizione assai antica, condivisa anche da altre popolazioni germaniche, mentre gli oggetti in bronzo delle sepolture femminili sono manifatture di ambito romano-bizantino che per quanto rare si ritrovano anche nel territorio modenese (Montale).

Il rinvenimento di questo tipo di bronzi e di un cucchiaio in argento con iscrizione augurale in latino, anch’esso di tradizione romana, costituisce un dato socio-economico e “politico” di grande interesse perché attesta il sussistere di rapporti commerciali (e con ogni probabilità anche personali) permanenti con le aree bizantine, nonostante la continua pressione espansiva dei Longobardi nei confronti della Romania che durerà in sostanza fino alla fine del regno.

Di particolare interesse infine le tre deposizioni di equini, due delle quali sicuramente acefale e associate a sepolture femminili. Questa pratica rituale, testimoniata da una casistica abbastanza ampia riscontrata in Italia, Germania e in Austria, si differenzia da quella nomadica di origine euro-asiatica, caratterizzata invece dalla inumazione nella medesima tomba di cavallo e cavaliere. Essa nacque nell’Europa occidentale tra III e V secolo e si diffuse successivamente nei territori estesi ad est del Reno fra le popolazioni germaniche che comprendevano Franchi orientali, Alemanni, Longobardi e Turingi.

Gli organizzatori. La mostra è promossa da Comune di Spilamberto (Sindaco Francesco Lamandini e Assessore alla Cultura Daniela Barozzi) e Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna (Luigi Malnati), in collaborazione con Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, con il patrocinio di Presidenza della Repubblica, Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Regione Emilia-Romagna, Provincia di Modena e Unione Terre di Castelli. Contributo della Fondazione di Vignola. Main sponsor Era 2000; sponsor Gruppo Cremonini, Banca Popolare dell’Emilia-Romagna, Cassa di Risparmio di Vignola e Banco S. Geminiano e S. Prospero- Gruppo Banco Popolare. Media Partner TRC-Telemodena.

Informazioni. “Il Tesoro di Spilamberto. Signori Longobardi alla frontiera” dall’11 dicembre 2010 al 25 aprile 2011 Spilamberto (MO), Spazio Eventi “L. Famigli” Viale Rimembranze, 19. Orari di apertura: venerdì 18.30-22 (con visite guidate alle ore 20 e 21); sabato, domenica, prefestivi e festivi 10-12.30 e 15-18.30 (con visite guidate alle ore 10.30, 11.30, 16.30 e 17.30). Visite guidate a pagamento (chiusa 24 e 31 dicembre, 1 gennaio).

Visite guidate a pagamento in giorni e orari diversi da quelli di apertura (gruppi min. 10, max. 30 persone): per info AR/S Archeosistemi