“Anche al Cie di Bologna, dopo quello di Modena, si ripropone il problema del bando al massimo ribasso per l’affidamento della gestione del centro, con base d’asta 30 Euro”. E’ però “inaccettabile ipotizzare uno scadimento delle condizioni di vita per le persone trattenute, tenuto anche conto che al Cie di Bologna da anni sono in atto sforzi per ‘aprire’ il centro all’esterno e tentare di ridurre il danno di una restrizione finalizzata all’espulsione”. A lanciare l’allarme è il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, Desi Bruno.

“Come è noto- prosegue- le persone che si trovano ristrette al Centro di identificazione ed espulsione sono destinate all’allontanamento dallo Stato italiano e subiscono una restrizione della libertà personale che può raggiungere i 180 giorni non per effetto della commissione di reati, come stabilisce l’articolo 13 della Costituzione, che sancisce la inviolabilità della libertà personale e i casi in cui la persona può esserne privata, ma per la mera irregolare presenza sul territorio, qualunque sia la causa pregressa che ha determinato tale irregolarità”. Dunque, per quanto riguarda gli immigrati costretti nel Cie, “si tratta di una condizione di privazione difficilmente accettata dalle persone che la subiscono, sia che provengano dal carcere, e che quindi hanno già scontato la pena inflitta per i reati commessi, sia per le persone che sono al Cie per non essere muniti di permesso di soggiorno o perché lo stesso è scaduto e non è stato più rinnovato (anche solo per la perdita di un lavoro). A ciò si accompagna quasi sempre il fallimento del progetto migratorio che aveva accompagnato l’abbandono del paese d’origine, con tutto ciò che comporta di drammatico nel dover ritornare indietro”.

Numerose, secondo Bruno, le criticità relative ai Cie, a cominciare dalla “persistente ed elevata incidenza sulla popolazione ospite di persone provenienti da uno stato di detenzione in carcere. Trattasi nella quasi totalità di uomini che hanno alle spalle soprattutto condanne in materia di stupefacenti o di reati contro il patrimonio”. C’è poi “la ricorrente presenza di stranieri presenti sul territorio dello Stato da moltissimi anni e che hanno perso il permesso di soggiorno per mancato rinnovo o revoca- prosegue Desi Bruno-, anche con riferimento a tale categoria la loro presenza nel Cie suscita notevoli perplessità in quanto trattasi non di rado di persone che hanno un radicamento in Italia, a volte una famiglia, incensurate ed in relazione alle quali una minore rigidità della legislazione attualmente in vigore permetterebbe una pronta regolarizzazione”.

Nei Cie spicca poi “la presenza significativa di richiedenti asilo”; la “non infrequente presenza di stranieri tossicodipendenti o affetti da patologie di dubbia compatibilità con la detenzione”; “la provenienza della gran parte delle donne straniere trattenute dal mondo della prostituzione e dello sfruttamento sessuale”. A ciò si aggiunge il fatto che la permanenza sino a 180 giorni “ha aumentato la conflittualità, i gesti di autolesionismo, i danneggiamenti”. Ci sono poi persone “che non vengono identificate, perché il paese di provenienza non le riconosce, e restano al Cie per poi uscire e rientrare, in un girone infernale che rende queste persone prive di qualunque riferimento”.

“Ci vogliamo occupare di questi fantasmi? Ha senso trattenere chi non verrà mai riconosciuto?”, incalza il garante. E ancora, “se espulsione deve essere secondo la legislazione vigente, è possibile che non si riesca ad effettuare la procedura di identificazione per le persone che provengono dal carcere nei periodi di detenzione, spesso lunghi, ed evitare ulteriori privazioni della libertà personale con il trattenimento al Cie, con ciò che comporta in termini di ulteriore sofferenza ed anche spesa per la collettività?”.

E infine, chiude Bruno, trovare al Cie “persone meramente irregolari , specie quelle che sono state radicate sul territorio e che hanno lavorato e hanno famiglie sul territorio, e che devono rientrare in paesi di origine pressoché sconosciuti, impone una riflessione seria ed urgente proprio nel momento in cui si riapre il tema della cittadinanza a chi, figlio di stranieri, è nato in Italia”.