Nuove norme a tutela del benessere animale. Le contiene un progetto di legge di modifica della l.r. 5/2005, d’iniziativa dei consiglieri Marco Monari (Pd) e Gabriella Meo (Sel-Verdi), sottoscritto anche da Mauro Manfredini (Lega nord), Andrea Defranceschi (Mov5stelle), che ne è il relatore, Gianguido Bazzoni (Pdl) e Liana Barbati (Idv), oggi al centro di un’udienza conoscitiva indetta dalla commissione Politiche per la salute e politiche sociali, presieduta da Monica Donini.

Il progetto di legge, ha spiegato Donini, è stato assunto dalla commissione come testo base, rispetto a altri due progetti sullo stesso tema presentati rispettivamente da Bazzoni e da Stefano Cavalli (Lega nord).

“Il testo introduce, tra l’altro, novità significative sui cani tenuti alla catena”, ha segnalato Defranceschi nella sua breve introduzione, ricordando che c’è il confronto più ampio tra maggioranza e opposizione anche su alcuni emendamenti ancora in cantiere, di cui uno dovrebbe prevedere un periodo transitorio non superiore ai sei mesi per consentire ai privati di adeguarsi all’eliminazione della catena a favore di box, con la certificazione del veterinario di fiducia e del competente servizio dell’Asl. C’è inoltre l’esigenza – ha aggiunto – di introdurre uno specifico passaggio per chiarire, sulla scorta della normativa europea e nazionale, quali siano gli animali da affezione e compagnia.

GLI INTERVENTI: ANIMALI “NON OGGETTI, MA ESSERI SENZIENTI”

Preoccupazioni per l’ipotesi di introdurre un periodo di transizione sono state espresse da Davide Battistini, promotore della campagna contro la detenzione dei cani alla catena e della relativa petizione, sottoscritta a oggi da 11.801 persone, che ha sollecitato i politici a “mantenere i patti”. Se siamo qua – ha chiosato Ilaria Innocenzi (Lav onlus) – è grazie all’iniziativa di un privato cittadino che si è schierato contro una prassi, quella della detenzione alla catena, che è un maltrattamento e non rispetta le caratteristiche etologiche degli animali, di cui si devono rispettare le libertà dalla paura, dalla sete, dalla fame e di vivere in modo consono alle peculiarità della specie.

Ha parlato di un “atto di civiltà” anche Marco Delle Donne (Asl di Piacenza), che va a normare situazioni che hanno dato in passato problemi applicativi. C’è tuttavia – ha aggiunto – la questione della riduzione degli organici a fronte di ulteriori compiti che la legge affiderebbe alla sanità pubblica. Più critico Sandro Venturelli (Comune di Bibbiano-Re, presidente Unione Val D’Enza), che ha espresso preoccupazioni per l’applicazione delle nuove norme nelle zone rurali, dove i cani sono normalmente detenuti alla catena, con il possibile aumento di casi di abbandono e conseguente inasprimento dei costi per il mantenimento dei canili da parte dei Comuni. Perplessità sull’inasprimento delle sanzioni, previsto dal progetto di legge, sono arrivate da Virgilio Camillini (Aisad/Confesercenti), che “non ne coglie la necessità”. In Emilia-Romagna – ha evidenziato – gli operatori sono tenuti a regole precise, come anche la nostra è tra le regioni (insieme a Veneto e Piemonte) dove si ha il maggior numero di iscrizioni all’anagrafe canina. In ogni caso, “fronte di un 20% di animali venduti da persone che ne garantiscono la tracciabilità, c’è un 80% di sommerso” che comporta abusi e pericoli anche sanitari.

Se si ragiona in termini di spazi e libertà per l’animale, allora la catena dà più libertà di movimento al cane che non un box di 4/5 metri quadrati. Questa l’opinione di Enrico Banfi (Società Ornitologica reggiana), che ha ribadito come il divieto di detenzione alla catena sia una “decisione storica”, con conseguenze che saranno da gestire. Altri dubbi Banfi li ha rivolti all’ipotesi di incremento delle sanzioni di cui vuole conoscere le ragioni, auspicando che, sul questo tema, la Regione promuova un’informazione capillare fra i cittadini.

Favorevoli al progetto, inoltre, Luigi Parisini (Lav onlus), Maurizio Pianazzi (associazione Cruelty Free), Lilia Casali (Animal liberation) e Annalisa Amadori (Lav Bologna), che hanno ribadito, portando ad esempio la propria esperienza, come l’inasprimento delle ammende sia adeguato al livello di inadempienza rispetto alla legge. Si va infatti da un minimo ad un massimo delle sanzioni, massimo che “raramente viene comminato e solo in casi gravissimi”. Parisini ha ribadito, tra l’altro, che ci sono cani in situazioni improponibili, per cui bisogna attivare più controlli perché siano rispettate le disposizioni di legge e che c’è una differenza sostanziale tra box e catena, visto che la seconda rappresenta “una coercizione inaccettabile dal punto di vista etologico”.

Pianazzi ha esortato a non utilizzare il discorso economico come un freno alle novità: quando si fanno cambiamenti culturali, come questo, sono altre le ragioni che ci devono sollecitare. Pianazzi punta infatti a un cambiamento di mentalità e, appunto, di cultura, soprattutto di quelle persone che non hanno coscienza delle sofferenze inflitte ai cani dalla costrizione di una catena o di un luogo minimo di contenzione. Per l’esponente di Cruelty free, paradossalmente, senza questo progetto di modifica si verificherebbe la “situazione grottesca” per cui i cani detenuti in canile sarebbero più tutelati che non quelli affidati ai privati”. Così Casali ha ribadito che “non bisogna avere paura del nuovo, ma si deve progredire” e che non solo si devono fare leggi “buone”, ma anche controllare che vengano applicate. Anche quando è stata promulgata la legge sull’anagrafe canina c’era chi paventava un inasprimento degli abbandoni, così non è stato e nessuno, oggi, oserebbe dire che questa norma era sbagliata. Amadori, infine, ha ribadito la necessità di spazi e ripari adeguati per gli animali detenuti da privati. C’è bisogno, a suo avviso, di una maggiore cultura sul fatto che gli animali non sono oggetti, ma esseri senzienti, e ha aggiunto che la difficoltà che c’è a informare i cittadini sull’incremento delle sanzioni che la legge comporterà non può rappresentare un ostacolo a innovazioni di civiltà.

Defranceschi ha chiuso i lavori parlando di un “confronto utile”, su un provvedimento che va a toccare una “sensibilità diffusa sul benessere animale”, che deve armonizzarsi con altre esigenze.