I numeri fotografano un’economia dell’Emilia-Romagna che continua a conseguire risultati positivi – in particolare per esportazioni e occupazione – ma vi sono altri elementi che testimoniano come il quadro di incertezza che caratterizza lo scenario internazionale stia producendo effetti negativi anche nella nostra regione.

E’ il quadro di sintesi che si evidenzia nell’indagine congiunturale relativa al secondo trimestre 2019 sull’industria manifatturiera, realizzata in collaborazione tra Unioncamere Emilia-Romagna, Confindustria Emilia-Romagna e Intesa Sanpaolo.

Il volume della produzione delle piccole e medie imprese dell’industria in senso stretto dell’Emilia-Romagna è sceso dello 0,8 per cento rispetto all’analogo periodo del 2018, confermando la tendenza negativa del trimestre precedente (-0,7 per cento).

Con una perdita più marcata rispetto alla produzione, è il fatturato, ridottosi dell’1,2 per cento rispetto all’analogo periodo del 2018. Con una flessione dello 0,1 per cento, il fatturato estero ha peraltro decisamente contenuto la correzione.

Al rallentamento della dinamica di fatturato e produzione si è associata la conferma di una più pesante tendenza negativa del processo di acquisizione degli ordini, che ha subito una flessione tendenziale dell’1,7 per cento. Si tratta di un segnale prospettico che fa riflettere.

Anche i soli ordini pervenuti dall’estero hanno subìto una flessione tendenziale dello 0,6 per cento, più contenuta di quella del complesso degli ordinativi.

Il grado di utilizzo degli impianti si è attestato al 76,5 per cento, un dato inferiore rispetto al livello del 78,1 per cento riferito allo stesso trimestre dell’anno precedente.

A livello settoriale, la crescita procede bene per l’industria alimentare che ha registrato un aumento della produzione dell’1,7 per cento e del fatturato dell’1,8 per cento (grazie anche al potente apporto del mercato estero, +4,0 per cento). A livelli più contenuti per l’industria del legno e del mobile, dove l’inciampo del fatturato (-0,3 per cento), appesantito dall’inversione di tendenza della componente estera (-2,0 per cento), non ha impedito una ripresa della produzione (+1,0 per cento).

Il passo indietro è evidente per l’ampio aggregato delle industrie meccaniche, elettriche e mezzi di trasporto che ha subìto una flessione del fatturato del 2,0 per cento, nonostante un minore arretramento dalla componente estera (-0,7 per cento). La produzione si è ridotta dell’1,4 per cento.

Si consolida la tendenza negativa anche per l’industria metallurgica e delle lavorazioni metalliche: qui il fatturato complessivo si è ridotto del 2,3 per cento, nonostante la migliore tenuta di quello estero (-0,9 per cento) e la produzione ha seguito lo stesso andamento (-2,2 per cento).

E’ pesante la flessione per il sistema moda che attraversa la peggiore condizione congiunturale tra i settori considerati. La riduzione del fatturato complessivo (-3,6 per cento) e in misura analoga di quello estero (-3,8 per cento), si è accompagnata alla produzione (-2,1 per cento).

L’evoluzione congiunturale del gruppo eterogeneo delle “altre industrie” (che comprende chimica, farmaceutica, plastica e gomma, ceramica e vetro) ha messo in luce un lievissimo aumento di produzione (0,2 per cento), fatturato complessivo (0,4 per cento) e ordini (0,1 per cento), con forte incidenza della componente estera.

Riguardo alla dimensione d’impresa, nel secondo trimestre 2019 la flessione è stata generalizzata, ma l’andamento congiunturale è risultato meno grave al crescere della struttura aziendale.

In particolare, la produzione è scesa di più (-2,6 per cento) per le imprese minori, poi per le piccole imprese (-0,7 per cento) e infine per le imprese medio-grandi (-0,3 per cento).

Sulla base dei dati del Registro delle imprese, quelle attive dell’industria in senso stretto regionale a fine giugno risultavano 44.577 (pari all’11,1 per cento del totale), con una diminuzione corrispondente a 533 imprese (-1,2 per cento) rispetto all’anno precedente, quando peraltro per la prima volta dal 2012 la variazione negativa si era ridotta al di sotto dell’1 per cento.

Riguardo alla forma giuridica, sostanzialmente sono aumentate solo le società di capitale (+1,7 per cento, +281 unità), giunte a rappresentare il 38,5 per cento delle imprese attive dell’industria, grazie all’attrattività della normativa delle società a responsabilità limitata semplificata che ha invece determinato un effetto negativo sulle società di persone, (-439 unità, -4,6 per cento).

Secondo l’indagine Istat, l’occupazione dell’industria in senso stretto dell’Emilia-Romagna ha chiuso il secondo trimestre nuovamente in aumento, giungendo quasi a quota 562 mila unità, con una crescita dell’1,3 per cento, pari a poco più di 7 mila unità, rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso. La variazione ha trascinato l’andamento dell’occupazione complessiva in regione negli ultimi dodici mesi (+2,1 per cento, +41 mila unità) ed è andata ben oltre la tendenza positiva dell’occupazione dell’industria in senso stretto nazionale (+1,1 per cento).

Ancora in base ai dati Istat relativi al commercio estero regionale, che prendono in considerazione le esportazioni effettuate da tutte le imprese che svolgono le operazioni doganali in regione, e quindi tracciano un quadro leggermente rispetto all’indagine congiunturale, nel primo semestre del 2019 si evidenzia un lieve rallentamento delle vendite all’estero.

Le esportazioni di prodotti dell’industria manifatturiera hanno fatto segnare un significativo aumento (+5,0 per cento), e sono risultate pari a quasi 32.169 milioni di euro.

L’andamento regionale appare migliore rispetto al complesso della manifattura italiana, dove l’incremento è stato molto più contenuto (+2,7 per cento).

Il segno positivo ha prevalso in quasi tutti i settori considerati. Eccezionale l’aumento delle vendite estere dell’altra manifattura (+58,7 per cento), e in seconda battuta dell’industria dei mezzi di trasporto (10,4 per cento). Più staccati per risultato, metallurgia e prodotti in metallo (+7,0 per cento), chimica, farmaceutica, gomma e materie plastiche (+4,6 per cento), industria alimentare e bevande (+4,4 per cento), moda (+3,8 per cento). L’importante industria dei macchinari e delle apparecchiature non è andata oltre una crescita delle esportazioni dell’1,2 per cento. Sostanzialmente fermo l’export delle industrie della ceramica e vetro, mentre arretrano le esportazioni dell’industria delle apparecchiature elettriche, elettroniche, ottiche, medicali e di misura (-1,2 per cento) e dell’industria del legno e del mobile (-2,4 per cento).

Per quanto riguarda le destinazioni, l’Europa si conferma come mercato fondamentale per l’export regionale. Le vendite sui mercati europei sono risultate pari al 65,5 per cento del totale, con un moderato aumento del 3,2 per cento. Le esportazioni verso la sola Unione europea (il 58,2 per cento del totale) hanno mostrato nuovamente una tendenza più accentuata (+4,0 per cento).

Si segnala, nell’area dell’euro, la crescita più contenuta in Germania e Francia (+1,6 per cento), mentre la dinamica è superiore in Spagna (+3,8 per cento). Oltre il perimetro dell’euro, prosegue il successo di vendite nel Regno Unito (+10,9 per cento), anche in anticipazione della Brexit, mentre nei mercati fuori dell’Unione europea, tengono le vendite in Russia (+1,1 per cento), mentre crollano in Turchia (-23,6 per cento).

La crescita sui mercati americani si è consolidata al 3,2 per cento, sostenuta dagli Stati Uniti (+3,4 per cento) e dal Brasile (+7,4 per cento). L’export regionale si rafforza in Asia (+17,2 per cento), in particolare verso la Cina (+11,8 per cento), con una vera esplosione per il Giappone (+78 per cento). Le vendite in Africa tengono (+1,7 per cento), quelle in Oceania mostrano segno rosso.

“La nostra regione si conferma ancora una volta “la locomotiva del treno Italia” – afferma il Presidente di Unioncamere Emilia-Romagna, Alberto Zambianchi – “treno” che, purtroppo, viaggia più lento rispetto a quelli degli altri Paesi OCSE. Nonostante il perdurare della stagnazione della domanda interna, le nostre imprese continuano a creare ricchezza e nuova occupazione, soprattutto grazie ai mercati esteri. Ma proprio da oltre confine arrivano nuovi segnali di allarme, che, qualora dovessero trovare conferma per quanto riguarda l’entità degli effetti temuti, potrebbero avere pesanti ripercussioni sulla nostra economia. Mi riferisco ai dazi applicati dagli USA, mercato fino a ora in fortissima crescita per le nostre imprese, e mi riferisco anche alla fase difficile che sta attraversando l’economia tedesca, un’area di sbocco naturale per i nostri prodotti in virtù di solidi rapporti di collaborazione tra aziende regionali e tedesche, e infine alla Brexit, che certamente creerà nuovi problemi nel rapporto con un partner storico e importantissimo per molte nostre filiere».

A giugno 2019, il credito bancario in Emilia-Romagna, secondo l’analisi della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, ha visto il proseguimento della crescita dei finanziamenti alle famiglie consumatrici mentre i prestiti alle imprese industriali si sono fermati, coerentemente con la stagnazione dell’economia.

«Il perdurare di un clima di incertezza a livello internazionale non può non condizionare le decisioni di investimento delle imprese emiliano-romagnole, da sempre orientate ai mercati esteri che ne apprezzano la qualità dei prodotti e la flessibilità della produzione. – sottolinea Tito Nocentini, direttore regionale di Intesa Sanpaolo – Ciò è ancor più vero se si confronta il dato regionale con quello nazionale. In questo caso le imprese del territorio dimostrano comunque di non voler cedere ad un clima di sfiducia, continuando comunque a mantenere livelli importanti di investimenti. Non a caso, solo nel primo semestre del 2019, Intesa Sanpaolo ha comunque erogato 600 milioni di nuovo credito a medio-lungo termine alle aziende della regione».

Infatti, nel 1° semestre la dinamica dei prestiti all’industria si è arrestata, dopo sei trimestri di crescita e una rapida frenata del trend positivo emersa nel corso del 2018. Per l’Emilia-Romagna si è passati da un incremento del +2,3% a/a a dicembre 2018, ad appena +0,1% a marzo e giugno 2019 (al netto delle sofferenze), una variazione che resta comunque superiore all’andamento nazionale, tornato in negativo (a -2,4% a/a a giugno da +0,7% a fine 2018). Inoltre, dopo una crescita durata quasi 4 anni fino a gran parte del 2018, i finanziamenti a medio-lungo termine destinati agli investimenti in macchine, attrezzature, mezzi di trasporto sono risultati in calo nel corso del semestre, al -5,6% a/a a giugno, anticipando un’analoga evoluzione a livello nazionale (-3,7% a/a a giugno). Il peggioramento del trend dei prestiti per investimenti in macchinari ha interessato quasi tutte le province dell’Emilia Romagna, con l’eccezione di Bologna che ha mostrato una buona resistenza, restando moderatamente in aumento, dell’1,5% a/a a giugno. Bologna conferma la crescita anche per quanto riguarda il complesso dei prestiti all’industria, sempre dell’1,5% a/a a giugno, analogamente a Parma col +1,4%. I prestiti all’industria si mantengono in aumento, addirittura del 7,2% a/a a giugno, anche a Reggio Emilia dove picchi analoghi si erano visti nel 2018. Poco variati risultano i prestiti all’industria a Piacenza e Modena (-0,1% e -0,5% rispettivamente), mentre le altre province sono risultate in calo, particolarmente evidente per Forlì-Cesena e Ferrara (-12,9% e -10,2%), ben più moderato per Rimini e Ravenna (-2,4% e -1,2%).

Una crescita robusta continua a caratterizzare lo stock dei prestiti alle famiglie consumatrici per acquisto abitazioni che nel 1° semestre 2019 si è rafforzata leggermente a +2,6% a/a in Emilia-Romagna, confermando quanto già emerso a fine 2018 col +2,5% dopo un +2% medio registrato nel resto dell’anno. Va notato che nel 2° trimestre 2019 i flussi lordi di mutui residenziali, pur mantenendosi su livelli elevati, sono tornati a registrare un calo (del -13% a/a), che fa seguito a quattro trimestri di forte crescita a due cifre. L’andamento è in linea con quello nazionale. Il volume più contenuto delle erogazioni di mutui appare coerente con il rallentamento della crescita delle compravendite di immobili residenziali, che nel 2° trimestre è risultata pari al 4,8% a/a in Regione. Benché più moderata rispetto ai sei trimestri precedenti, in Emilia-Romagna la crescita delle compravendite di case è rimasta robusta e più forte del sistema nazionale (+3,9% a/a nel 2° trimestre). Gli stock di mutui sono aumentati in tutte le province, a partire dalla dinamica massima del 4,4% a/a che spetta ancora una volta a Bologna, addirittura in ulteriore accelerazione nel 1° semestre, rispetto al risultato già brillante di fine 2018 (+3,9% a/a). Le altre province seguono a distanza. Saldamente sopra il 2% risultano Modena, col 2,5%, Forlì-Cesena col 2,3%, Parma col 2,1%. Ferrara conferma di aver superato la fase di debolezza, mostrando una leggera accelerazione a +1,9% a giugno, dall’1,7% di fine 2018. Anche Reggio-Emilia migliora, a +1,8%. Diversamente, Piacenza rallenta dal 2,1% di fine 2018 all’1,6% di giugno. Rimini e Ravenna (+1,2% a/a e 1,1% rispettivamente) confermano una crescita dello stock di mutui più moderata.

Anche nel 1° semestre 2019 è proseguita la riduzione dei rischi del sistema bancario dell’Emilia-Romagna. Il ritmo di emersione delle sofferenze delle imprese si è ridotto ulteriormente, a 1,85% nel 2° trimestre, consolidandosi sotto la media nazionale (2,1%). Il tasso di decadimento del credito alle imprese dell’Emilia-Romagna è il più basso da dieci anni. Anche gli stock di sofferenze sono risultati ancora in riduzione. In Emilia-Romagna le sofferenze delle imprese sono scese a luglio 2019 a 8,4% del totale dei prestiti al lordo delle rettifiche di valore, in calo di 1,1 punti percentuali rispetto a fine 2018, restando su valori più bassi della media nazionale (9,0% a luglio).

«La nostra indagine sulle previsioni per la seconda metà del 2019 – dichiara il Presidente di Confindustria Emilia-Romagna Pietro Ferrari – evidenzia un raffreddamento del clima di fiducia tra gli imprenditori, lievemente meno marcato rispetto al primo semestre ma ampiamente inferiore al 2018. Si tratta di un quadro economico in cui le ombre sembrano maggiori delle luci e la crescita è quasi nulla, leggermente migliore per l’Emilia-Romagna rispetto al resto del Paese, ma del tutto insufficiente per ripartire. Far crescere i redditi, aumentare i consumi, ridare slancio agli investimenti, colmare il gap infrastrutturale, investire in formazione e capitale umano, aumentare gli occupati a partire da donne e giovani sono obiettivi ambiziosi incompatibili con la “crescita zero”».

Secondo l’analisi semestrale realizzata da Confindustria Emilia-Romagna – che ha coinvolto 428 imprese manifatturiero con 58.451 addetti e 21,4 miliardi di euro di fatturato – il 30,5% degli imprenditori intervistati prevede un aumento della produzione e il 54,1% una stazionarietà, con un saldo ottimisti-pessimisti di +15 punti, in leggera crescita rispetto a quanto registrato ad inizio anno. Migliorano le aspettative sulla domanda totale: il 35,2% delle imprese attende un aumento, con un saldo ottimisti/pessimisti pari a +19 punti (era +10 punti a inizio anno). Stabili i giudizi sugli ordini provenienti dall’estero, attesi in aumento dal 30,3% degli imprenditori, con un saldo ottimisti/pessimisti di +16 (era +15 il semestre scorso). Segnali di arretramento si registrano sul fronte del mercato del lavoro, con il 71,5% degli imprenditori che si aspetta una stazionarietà dell’occupazione e un saldo ottimisti/pessimisti pari a +8 (in calo rispetto a +14 di inizio 2019).

«La bassa crescita – commenta il Presidente Ferrari – è un problema europeo, non solo italiano, e sta colpendo direttamente anche Paesi come la Germania che sembravano immuni. Le dichiarazioni del Governo sugli obiettivi della manovra, non tutte univoche, delineano alcune linee di lavoro condivisibili. Il punto è come dare corpo a queste ipotesi di lavoro, con quali e quante risorse, con quali priorità rispetto ai tanti obiettivi dichiarati. Occorre avviare un intervento di riduzione del cuneo fiscale sul lavoro nel medio periodo, dare continuità strutturale alle agevolazioni fiscali previste per gli investimenti a partire da Industria 4.0, avviare finalmente la realizzazione di infrastrutture e opere pubbliche e costruire un Piano strutturale per la sostenibilità e l’economia circolare».