La strage di Cernaieto è rimasta indelebile nella mente di molti reggiani: è difficile infatti dimenticare quella profonda buca, trasformata in una fossa comune, dove furono gettati dai partigiani comunisti 23 persone, fra i quali tre ragazze, ed alcuni ragazzi.

Era il 23 aprile del 1945, i 24 militi della Guardia Nazionale Repubblicana del presidio di Montecchio Emilia, dopo due giorni di battaglia, si fidarono delle parole di don Ennio Caraffi, anche lui ingannato, che portava loro il messaggio dei partigiani: “la resa a patto di aver salva la vita e la condizione di non subire maltrattamenti e percosse”. Verso le nove del mattino uscirono da ‘Cà Bedogni’ crivellata di colpi: all’interno dell’abitazione giacevano due ragazzi feriti, due legionari morti e, nello scantinato, il cadavere del partigiano Lodovico Landini. Il vicecomandante dei partigiani, nonostante la parola data nella trattativa di resa, ordinò che tutti i militi venissero fucilati seduta stante. L’ordine però non venne eseguito per l’intervento di un superiore ed i legionari vennero avviati verso la collina, dalla quale non fecero più ritorno. In collina vi fu un processo sommario dell’ufficio mobile della polizia partigiana e i soldati vennero riconosciuti prigionieri di guerra: in realtà, in spregio alla convenzione di Ginevra, vennero poi massacrati, anche se nel contempo la guerra era terminata. Tra gli uccisi, tre donne ed alcuni ragazzini di 16 e 17 anni.

Sono diverse le analogie che collegano quella stage alla tragedia delle foibe in Friuli: a capo di questa operazione di sterminio vi fu il capo partigiano comunista, Americo Clocchiatti, lo stesso che operò in Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con i partigiani jugoslavi di Tito; la tecnica omicida impiegata fu la stessa, dato che le vittime furono legate insieme con il filo di ferro e fatte precipitare nel vuoto: la’ nelle foibe, qui in una fossa comune. Fra le vittime c’era Paolina Viappiani, che aveva la sola colpa di essere stata la fidanzata di un partigiano comunista reggiano e di avergli dato un bambino; il suo fidanzato “eroe”, che si era rifiutato di rispondere ai suoi doveri di padre, pensò bene di liberarsi della donna indicandola come spia dei fascisti.

I partigiani comunisti decisero di condannarli ad una morte atroce adducendo a giustificazione che i militi della Rsi, che finirono nella fossa comune, si erano macchiati di un delitto, quello del partigiano Ludovico Landini, ucciso per strangolamento con un filo di ferro. In realtà, secondo la testimonianza di un parente del partigiano stesso, la vittima non presentava alcuna ecchimosi sul collo, mentre sul fianco sinistro riportava una ferita da arma da fuoco: a questo proposto va rilevato che, essendo stato Landini colpito in azione di guerra a Cà Bedogni, durante uno scontro fra i militi della Rsi e i partigiani, molto probabilmente la ferita mortale fu provocata dal “fuoco amico”, ma la sua morte venne presa a pretesto per giustificare la strage di Cernaieto.

Di questa strage nessuno ha parlato per sessantacinque anni e per averne parlato ho subito minacce ed intimidazioni.

Il partigiano comunista Americo Clocchiatti, organizzatore del movimento partigiano nel Veneto, Commissario politico della Divisione d’assalto Garibaldi “Nannetti” sino al novembre del 1944, responsabile del Comando piazza di Milano e quindi vicecomandante del Comando unificato Nord-Emilia, imperversò in tutto il nord Italia nell’immediato secondo dopoguerra: Clocchiatti teorizzava che bisognava uccidere sia i ricchi che i poveri, in quanto la “giustizia” proletaria non doveva guardare in faccia nessuno.

(Fabio FILIPPI Cons. Reg. PdL)